IL TRUST: cenni civilistici e fiscali, di Ennio Vial

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Ennio Vial, classe 1972, Dottore commercialista in Castelfranco Veneto (TV), svolge la sua attività professionale principalmente come consulente in materia di trust e fiscalità internazionale.

Amministratore di Trust Company professionale.

È autore di numerose pubblicazioni sui temi di sua competenza e interviene spesso come relatore in corsi di formazione e aggiornamento organizzati da enti, Università e Ordini professionali.

 

Indice:

CENNI CIVILISTICI
Il disponente
Il trustee
Il guardiano
I beneficiari
CENNI FISCALI
Imposte dirette: la tassazione del trust secondo la Finanziaria 2007
Trust trasparenti e opachi
Le imposte indirette – Imposta di donazione
Le imposte indirette – Imposte ipotecarie e catastali

 

CENNI CIVILISTICI

Il Trust è un istituto di matrice anglosassone di lunga tradizione sviluppatosi nei paesi di common law e che ha fatto il suo ingresso in Italia con la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985 ad opera della legge 9 ottobre 1989 n. 364.

Il trust è utrustna figura giuridica molto versatile che può assumere forme estremamente diversificate e soddisfare numerose esigenze.

La struttura essenziale del trust vede la presenza di tre soggetti ovvero:

  • il disponente (o “settlor”);
  • il “trustee”;
  • il beneficiario, o i beneficiari.

Il trust determina un trasferimento di beni/diritti dal disponente al Trustee; il trustee diventa proprietario ed amministratore dei suddetti beni con il vincolo di gestirli nell’interesse dei beneficiari, ovvero in funzione di uno scopo.

Il trust è quindi caratterizzato dai seguenti elementi:

  1. i beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee;
  2. i beni in trust sono intestati al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee;
  3. il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee[1].

Il fondo in trust esce quindi definitivamente dal patrimonio del disponente ma non entra a far parte del patrimonio del trustee e non è più soggetto alle pretese dei creditori o  di terzi (sempre in assenza di situazioni patologiche).

Il trust è caratterizzato da  una  dual  ownership vale a dire  da  una  doppia proprietà, l’una ai fini dell’amministrazione –  in  capo  al  trustee  –  e l’altra, ai fini del godimento – in capo al beneficiario – ed esprime un concetto di proprietà non proprio allineato a quello conosciuto nei Paesi di civil law.

È evidente come, in base ai  canoni  tradizionali  del  nostro ordinamento,  non  sia agevole comprendere un simile sdoppiamento di proprietà, né la compressione del diritto di godimento dei beni affidati  al trustee che ne è il proprietario. In  sostanza,  mentre  la  titolarità  del diritto di proprietà è piena, l’esercizio di tale diritto è invece  limitato al perseguimento degli scopi indicati nell’atto istitutivo.

Se è lo stesso disponente ad essere designato quale trustee si dà luogo a un trust autodichiarato; in tal caso il vincolo di destinazione sui beni si forma all’interno dello stesso patrimonio del disponente.

Infine un trust può dirsi “interno” quando tutti gli elementi costitutivi (disponente, trustee, beni e beneficiari) sono italiani e l’unico elemento esogeno è la legge regolatrice.

Le motivazioni che spingono un disponente a trasferire i propri beni in trust, ivi inclusi beni immobili, possono essere molteplici; tra le tante si cita la necessità di dirimere conflitti potenziali tra gli eredi, quella di proteggere il disponente stesso dal commettere future sciocchezze, quella ancora di garantire una continuità aziendale in assenza di eredi o ancora quella di tutelare un disabile.

L’effetto principale del trust è il c.d. “effetto segregativo” che determina la separazione dei beni conferiti nei confronti sia del patrimonio del disponente sia del patrimonio del trustee, con la conseguenza che i medesimi beni non potranno essere oggetto di azioni esecutive e/o cautelari tanto da parte dei creditori particolari del disponente una volta decorso il termine annuale previsto dal nuovo art. 2929 bis quanto da quelli del trustee.

Per istituire un trust è sempre necessario distinguere l’atto istitutivo di trust dagli atti dispositivi.

La costituzione del trust avviene mediante la predisposizione dell’atto istitutivo; in esso sono contenute le disposizioni che regolano i rapporti tra le varie figure e la gestione del patrimonio segregato.

L’atto istitutivo è quindi l’atto con il quale il disponente  esprime  la  volontà  di costituire il trust.

L’atto dispositivo è invece l’atto con il quale il settlor vincola i beni in trust ed è, generalmente, un negozio a titolo gratuito.

Gli atti di disposizione dei beni in trust non devono essere obbligatoriamente contestuali all’atto istitutivo ma possono essere posti in essere anche successivamente.

Il disponente può segregare in trust una qualunque posizione soggettiva: un diritto assoluto, un diritto relativo, un diritto reale, un diritto di credito, una aspettativa giuridicamente protetta.

In merito ai diritti dei legittimari si evidenzia come l’atto istitutivo non sia lesivo del diritto di alcuno in quanto è un atto meramente programmatico.

Un legittimario può rivolgersi contro i negozi dispositivi lesivi della sua posizione: quando il compito affidato al trustee comporta il realizzo di una liberalità un legittimario leso può esperire l’azione di riduzione avverso i negozi dispositivi.

Operativamente, però, l’azione di riduzione può trovare un ostacolo processuale nella corretta individuazione del convenuto.

Analizziamo ora, brevemente, le diverse figure dell’istituto:

  1. Il disponente;
  2. Il trustee;
  3. Il guardiano;
  4. I beneficiari.

Il disponente

Si premette come il disponente possa essere chiunque quindi una persona fisica o una persona  giuridica; generalmente, essendo utilizzato con finalità donatorie e in un’ottica di gestione del passaggio generazionale, il/i disponenti sono persone fisiche.

Si evidenzia come:

  • il disponente compaia nel rapporto solo al suo momento genetico e poi, formalmente, esca di scena;
  • l’influenza e l’ingerenza del disponente nelle scelte del trustee rischiano infatti di far considerare il trust come interposto fiscalmente;
  • è necessario, quindi, affinché lo strumento sia solido e inattaccabile da parte dell’Amministrazione finanziaria o di terzi in genere, che si realizzi un reale spossessamento dei beni determinato dalla mancanza di controllo sugli stessi da parte del disponente.

Il disponente non è titolare di alcun diritto né di alcun potere nei confronti del trustee (fa eccezione la legge di Malta che attribuisce al disponente dei diritti di informazione).

Il trustee opera rispettando le regole contenute nell’atto istitutivo e, se presenti, alcuni “desiderata” del disponente inseriti nelle “lettere dei desideri”.

Le lettere dei desideri non sono vincolanti per il trustee.

Tra il trustee ed il disponente si può instaurare un rapporto di consultazione[2].

Il trustee esercita correttamente i propri poteri se valuta autonomamente il merito delle richieste del disponente o del beneficiario e raggiunga una decisione informata.

Si precisa come affinché lo strumento sia “solido” (difficilmente aggredibile da parte dell’Amministrazione finanziaria o di terzi):

  • il disponente non deve coincidere con il trustee;
  • il disponente non deve essere un beneficiario del fondo.

Il disponente potrebbe essere, invece, un beneficiario dei frutti; anzi, tale clausola è spesso presente negli atti di trust per consentire, a colui che si priva dei beni, di poter godere comunque dei frutti che derivano dal patrimonio segregato.

trust2Il trustee

Nella scelta del trustee il disponente ha la massima discrezionalità; il trustee può essere infatti una persona fisica di fiducia, una fiduciaria o una trust company.

In linea di principio può essere trustee qualsiasi soggetto capace di agire.

Il compito del trustee è la gestione e l’amministrazione dei beni in trust.

Gli stessi sono intestati al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee e costituiscono una massa distinta e non facente parte del patrimonio personale di quest’ultimo.

Infatti, i beni costituiti in trust[3]:

  • non sono aggredibili dai creditori personali del trustee;
  • non concorrono alla formazione della massa ereditaria del  defunto in caso di morte del trustee;
  • non rientrano, ad alcun titolo,  nel  regime  patrimoniale  legale della famiglia del trustee qualora, ovviamente, quest’ultimo sia coniugato;
  • non sono  legittimamente  utilizzabili  per  finalità  divergenti rispetto a  quelle  predeterminate  nell’atto  istitutivo  del

Il trustee sarà quindi tenuto ad amministrare, gestire e disporre i beni in trust a favore dei beneficiari secondo le indicazioni dettate nell’atto istitutivo del trust, nel rispetto della legge ed in accordo con i “desideri” del disponente.

Il trustee deve, altresì, rendere conto della gestione.

L’accettazione dell’incarico avviene generalmente quando si sottoscrive l’atto istitutivo o per mezzo di atto separato.

La morte del trustee non comporta alcuna successione mortis causa e il fondo in trust rimane segregato e non fa parte della massa ereditaria.

Le dimissioni del trustee hanno generalmente effetto quando è stato sostituito.

La revoca negoziale va sempre prevista nell’atto istitutivo e viene concessa al disponente, al guardiano o ai beneficiari.

E’ opportuno che la revoca e la nomina del trustee sia concessa al guardiano e non al disponente.

Il guardiano

Una figura non necessaria ma quanto mai opportuna è quella del guardiano che ha il compito di controllare, e nel contempo assistere il trustee, nella gestione del patrimonio.

La nomina del guardiano risponde quindi all’esigenza di sorvegliare il trustee e, al tempo stesso, di aiutarlo nelle scelte operative.

L’ufficio del guardiano, come quello del trustee, può essere svolto:

  • da una persona;
  • da più persone;
  • da una persona giuridica.

Il guardiano è normalmente nominato dal disponente nell’atto istitutivo del trust o con atto separato indirizzato al trustee; talvolta è nominato dai beneficiari dopo la morte o le dimissioni del (primo) guardiano.

In ogni caso è opportuno che, nell’atto istitutivo, siano previste clausole per ogni evenienza relativa all’ufficio, con particolare riferimento alle forme ed alle modalità di nomina, accettazione, revoca e successione del guardiano; la successione del guardiano è infatti uno degli aspetti più critici e delicati nella stesura dell’atto di trust.

Il guardiano può svolgere tre distinte funzioni:

  1. esercitare direttamente poteri dispositivi o gestionali;
  2. prestare o meno il proprio consenso a decisioni assunte dal trustee;
  3. impartire direttive o istruzioni al trustee circa il compimento di determinati atti.

I beneficiari

I beneficiari sono coloro ai quali il trustee è obbligato o può fare ottenere dei vantaggi economici.

Si premette come:

  • il termine “beneficiario” individui una vasta gamma di posizioni soggettive;
  • i diritti dei beneficiari possono vertere solo sul reddito del fondo, solo sul fondo oppure su entrambi; di conseguenza, vi possono essere quindi i beneficiari del reddito e i beneficiari del fondo in trust e uno stesso soggetto può appartenere ad entrambe le categorie.

I beneficiari del reddito sono quei soggetti a cui viene attribuito il reddito generato nel corso della vita del trust.

I beneficiari finali del trust, invece, sono i soggetti ai quali viene attribuito il fondo in trust al termine della vita del trust.

I beneficiari possono essere individuati nell’atto istitutivo o in un secondo momento, direttamente dal disponente o da un terzo designato (protector); inoltre, possono essere designati nominativamente o quali appartenenti ad una determinata categoria.

I beneficiari sono titolari di diritti non sui beni del fondo ma sul valore in essi incorporato.

CENNI FISCALI

Imposte dirette: la tassazione del trust secondo la Finanziaria 2007

La L. 27 dicembre 2006 n. 296 (Finanziaria per il 2007) ha introdotto per la prima volta una disciplina ai fini delle imposte sui redditi del trust ad opera dei commi da 74 a 76 dell’art. 1.

All’intervento normativo sono seguite la C.M. n. 48/E/2007 e la C.M. n. 3/E/2008, diramate dall’Agenzia delle Entrate, con cui sono stati forniti i primi chiarimenti ufficiali.

L’art. 1 comma 74 L. 296/2006 ha inserito il trust tra gli enti commerciali e non commerciali nell’ambito dei soggetti che scontano l’Ires di cui all’art. 73 del tuir.

In particolare, il trust è stato inserito nella lettera b), tra gli enti pubblici e privati diversi dalle società residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali e nella lettera c) tra enti pubblici e privati diversi dalle società residenti che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali e, infine, nella lettera d) tra le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti.

Il legislatore ha quindi previsto quale regola generale che i redditi del trust dovranno essere tassati in capo al trust personificato che, a seconda dei casi, verrà qualificato come ente commerciale o ente non commerciale.

Si tratta di una soluzione in linea di massima conforme alle indicazioni della dottrina e della prassi. Queste indicazioni, tuttavia, valgono solamente nel caso del trust in cui i beneficiari del reddito non risultano identificabili. Diversamente, nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, l’ultimo periodo inserito nell’art. 73 comma 2 stabilisce che i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso a questi ultimi in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali.

In sostanza, i redditi del trust sono imputati per trasparenza ai beneficiari del reddito solamente se questi sono individuati.

Il diverso regime di tassazione in capo al trust come ente opaco o per trasparenza in capo ai beneficiari non dipende dalla diversa natura del trust ma dal semplice fatto che i beneficiari del reddito siano individuati o meno.

 Trust trasparenti e opachi

Sul tema è intervenuta più volte l’Amministrazione finanziaria.

In particolare, la R.M. n. 425/E/2008 ha affrontato il caso del trust ALFA gestito dalla trust company BETA s.r.l. e costituito mediante apporto di liquidità da parte di tre disponenti. L’atto istitutivo del trust individua sia i beneficiari del reddito che del fondo dello stesso.

L’Agenzia osserva che, spettando un potere discrezionale al trustee in ordine alla distribuzione del reddito ai beneficiari, il trust deve necessariamente essere considerato opaco.

La circolare n. 48/E/2007 ha correttamente chiarito che per “beneficiario individuato” è da intendersi il beneficiario di “reddito individuato” vale a dire il soggetto che esprime, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale.

È stata quindi chiarita non solo la necessità che il beneficiario sia puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza.

È appena il caso di rilevare come ai fini della trasparenza del trust si abbia riguardo solamente ai beneficiari del reddito e non anche ai beneficiari del fondo in trust che assumono rilievo esclusivamente in relazione alla determinazione dell’imposta di donazione[4].

Il punto 4 della C.M. 48/E/2007 richiede per la trasparenza che “il beneficiario non solo sia puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza”.

Di conseguenza, la discrezionalità del trustee esclude di per sé ogni diritto soggettivo del beneficiario a percepire un reddito, per cui un trust del genere risulterebbe per definizione opaco.

Secondo la R.M. 425/E/2008 la tassazione per trasparenza di un trust presuppone che il reddito sia immediatamente e originariamente riferibile ai beneficiari.

La trasparenza esclude quindi qualsiasi discrezionalità in capo al trustee in ordine sia alla individuazione dei beneficiari sia alla eventuale imputazione del reddito ai beneficiari stessi.

In sostanza, il diritto all’assegnazione del reddito deve nascere ab origine a favore di determinati beneficiari. Diversamente, il trust deve considerarsi opaco.

L’opacità del trust comporta che i redditi scontino solamente l’IRES del 27,5% (probabilmente il 24% dal 2017) senza alcun ulteriore prelievo in luogo della tassazione Irpef dei beneficiari che potrebbe risultare più onerosa.

L’Agenzia delle Entrate sostiene quindi la tesi secondo cui la discrezionalità del trustee in ordine alla attribuzione dei redditi determini di per sé l’opacità del trust.

Le imposte indirette – Imposta di donazione

La L. 24.11.2006 n. 286 in sede di conversione del D.L. 3.10.2006 n. 262 ha modificato la disciplina in materia di tassazione dei trasferimenti a titolo gratuito (donazioni e successioni mortis causa) ripristinando la previgente imposta sulle successioni e donazioni abrogata nell’anno 2001.

Ulteriori integrazioni sono state apportate dall’art. 1 co. 77-79 della Finanziaria 2007.

La novella precisa espressamente che l’imposta trova applicazione anche alla costituzione di vincoli di destinazione e, pertanto, anche ai trust.

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Il 29 gennaio 2007, in sede di Telefisco, l’Amministrazione Finanziaria ha sostenuto che l’imposta sulle successioni e donazioni è dovuta per la sola costituzione del vincolo disposta con modalità traslative vale a dire mediante attribuzione di beni dal disponente al trustee.

È stato inoltre sostenuto che se il trust è istituito in favore di beneficiari finali determinati o determinabili, ferma restando l’applicazione dell’imposta alla costituzione del vincolo effettuata con modalità traslative, il successivo trasferimento di beni in favore dei beneficiari finali è soggetta anch’essa ad autonoma imposizione da individuarsi con riferimento al caso concreto e in base agli effetti giuridici prodotti.

L’intervento dell’Amministrazione Finanziaria ad opera della C.M. 48/E/2007 ha fornito un’interpretazione particolare in quanto, rivedendo implicitamente le posizioni espresse in sede di Telefisco, ha sostenuto che l’imposta di donazione è dovuta nel primo passaggio dal disponente al trustee, ma che l’imposta non è più dovuta nel passaggio successivo dal trustee al beneficiario.

L’Agenzia delle Entrate ha inoltre confermato che l’atto istitutivo con il quale il disponente esprime la volontà di costituire il trust, che non contempli anche il trasferimento di beni nel trust (disposto in un momento successivo), se redatto con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, va assoggettato all’imposta di registro in misura fissa ai sensi dell’art. 11 della Tariffa parte prima del D.P.R. 26.4.1986 n. 131 quale atto privo di contenuto patrimoniale.

Il successivo atto dispositivo con il quale il disponente vincola i beni in trust è un negozio a titolo gratuito che deve essere assoggettato all’imposta di donazione.

Poiché la costituzione del vincolo di destinazione avvenga sin dall’origine a favore del beneficiario, ai fini della determinazione delle aliquote che si differenziano in dipendenza del rapporto di parentela e affinità, occorre guardare al rapporto intercorrente tra il disponente e il beneficiario anziché quello tra disponente e trustee.

La circolare precisa che per poter beneficiare delle aliquote ridotte e delle franchigie il beneficiario deve poter essere identificato, in relazione al grado di parentela con il disponente, al momento della costituzione del vincolo.

Le imposte indirette – Imposte ipotecarie e catastali

La circolare 48/E/2007 ha fornito alcune indicazioni in merito all’applicazione delle imposte ipotecarie e catastali qualora il trust venga dotato di beni immobili.

In mancanza di specifiche disposizioni trova applicazione il Testo Unico delle imposte ipotecaria e catastale approvato con D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 347.

Le imposte sono dovute, rispettivamente, per la formalità della trascrizione di atti aventi ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per la voltura catastale dei medesimi atti.

La circolare conferma quindi che le stesse imposte sono dovute in misura proporzionale relativamente alla trascrizione di atti che conferiscono nel trust, con effetti traslativi, i menzionati beni e diritti.

Analogamente sono dovute in occasione del successivo trasferimento dei beni medesimi allo scioglimento del vincolo, o dei trasferimenti eventualmente effettuati durante il vincolo.

I trasferimenti effettuati durante la vita del trust sono quelli che il trustee potrebbe effettuare nei confronti di terzi e non anche il passaggio degli immobili da un trustee ad un altro.

In sostanza, tali imposte si applicano in misura proporzionale:

  1. nel momento di costituzione di vincolo di destinazione (nel passaggio dei beni dal disponente al trustee);
  2. nel successivo trasferimento dei beni in seguito allo scioglimento del vincolo (nel passaggio finale dei beni dal trustee ai beneficiari);
  3. ai trasferimenti eventualmente effettuati durante la vigenza del vincolo.

Secondo l’Agenzia delle Entrate il solo fatto che i beni vengano trasferiti ad altro soggetto, anche con il solo obbligo di gestirli e amministrarli per poi alla scadenza del trust trasferirli al beneficiario, determina l’imposizione proporzionale.

[1] Art. 2 della Convenzione dell’Aja.

[2] Una delle differenze fondamentali fra trust e mandato fiduciario è la mancanza di un rapporto contrattuale fra disponente e trustee e, quindi, la mancanza di rimedi giuridici del disponente contro il trustee.

[3] C.M. 3 del 22 gennaio 2008.

[4] Potrebbe infatti accadere che i beneficiari del reddito siano diversi dai beneficiari dei beni del trust.