“Le disposizioni testamentarie non patrimoniali” di Marina Viva

Le disposizioni testamentarie non patrimoniali di Marina Viva

 

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Praticante notaio presso lo Studio Notarile Avv. Ruggiero Sguera

2016-12-19-22-16-16

 

Per iniziare si può affermare che fra gli istituti giuridici, il testamento è quello che meno ha risentito di sussulti e delle tentazioni innovatrici. L’uso meno frequente, che di esso si fa oggi, non gli toglie il ruolo di strumento giuridico comunque necessario, specie se non lo si immiserisca a semplice veicolo di disposizione dei beni per il tempo successivo alla morte del testatore. Se è sicuro, in termini di rilevanza, che la sua principale funzione è quella di provvedere alla successione nei diritti sui beni del disponente, altrettanto certa è la sua idoneità a regolare, tra l’altro, una pluralità di interessi di indole non patrimoniale.

Grazie a tali interessi, al testamento si può riconoscere quindi un’attitudine di strumento che concorre a valorizzare la personalità umana. Le disposizioni di carattere non patrimoniale, per espressa previsione normativa, hanno efficacia anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale così come cita l’art.587 c.c.; la legge ne prevede espressamente più di una, non di meno è prevalente l’opinione, secondo cui deve ritenersi che il testatore possa consegnare alla scheda testamentaria anche disposizioni di carattere non patrimoniale, non esplicitamente contemplate dalla legge, le quali saranno efficaci, sempre che sia stata rispettata una delle forme testamentarie. Possono essere definite non patrimoniali, le disposizioni che si caratterizzano per avere direttamente ad oggetto prestazioni o effetti non patrimoniali. Ad ogni modo è evidente che le disposizioni non patrimoniali, solitariamente intese o in concorso con quelle patrimoniali, assolvono alla funzione di sistemazione degli interessi post mortem, in vista della quale, appunto una persona dispone per mezzo del testamento.

Per quanto appena detto, appare di tutta evidenza, che è estraneo al fenomeno successorio il così detto testamento biologico, a ragione della circostanza che esso è destinato a produrre effetti durante la vita del suo autore, non già dalla morte dello stesso, il che avviene, invece, relativamente al testamento proprio. Può quindi essere definito come quel  «documento con il quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposto nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi non fosse in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato». L’inadeguatezza dell’espressione «testamento biologico», mutuata dall’inglese living will, è stata evidenziata in relazione alle differenze funzionali con il negozio testamentario. Il testamento biologico produce i suoi effetti in un momento in cui l’autore è ancóra in vita, seppur nella fase terminale; di qui, sarebbe preferibile ricorrere a termini diversi, quali «dichiarazioni» o «direttive» anticipate di trattamento. Il testamento, invero, tutela soprattutto la persona del de cuius, consentendo la sopravvivenza dell’anima attraverso la disciplina delle proprie sostanze e, più in generale, dei propri rapporti giuridici, anche non patrimoniali. Solo in tale prospettiva il termine «testamento» può risultare appropriato, ravvisando in esso il carattere di discorso o, in senso letterario, di monologo, destinato ad essere attuato in un momento in cui l’autore non ha alcuna possibilità di controllarne l’esecuzione. Quindi non può negarsi l’importanza della confezione di un atto, al quale una persona- temendo di perdere, per malattia o intervento chirurgico, la capacità di intendere e di volere- affidi, anzitutto, la designazione del soggetto  che dovrà prendere le decisioni, nell’ipotesi in cui il designante non fosse in grado di esprimerle, e inoltre, una serie di direttive di vario genere, quali, ad esempio, quelle concernenti il luogo in cui voglia trascorrere la fase della malattia, l’alimentazione, etc. Tra le disposizioni testamentarie non patrimoniali è presente anche la volontà del testatore a donare i propri organi, ed è proprio questa la tipologia di disposizione dalla quale ho preso spunto per il lavoro conclusivo della mia tesi. Cercherò di spiegare il ragionamento logico in maniera semplice e sintetica: ad oggi i potenziali donatori di organi o tessuti, destinati al trapianto terapeutico, debbono essere soggetti di cui sia stata definitivamente accertata la morte, secondo le regole dettate dalla l. 29 dicembre 1993, n. 578. Tale disciplina comprende una parte definitoria del concetto di morte, quale «cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo», vale a dire la perdita delle funzioni dell’organismo nel suo complesso.

E’ noto, che, invece, fino alla prima metà del XX Secolo, l’evento della morte sia stato fatto coincidere con la cessazione della funzione cardiocircolatoria, parametro poi ritenuto inidoneo, dato lo sviluppo delle tecniche di sostegno artificiale, le quali consentono oggi di conservare la prosecuzione di quella funzione, seppure in modo non spontaneo, in un corpo che ha ormai perduto ogni capacità intellettiva e sensitiva. Per quanto concerne la procedura di prelievo da cadavere ai fini di trapianto, la disciplina generale deve comunque essere integrata da alcuni, ulteriori, adempimenti. Vi è un periodo di osservazione che dura almeno sei ore – protratte a dodici per i bambini tra uno e cinque anni ed a ventiquattro per i neonati fino ad un anno -, nelle quali gli esami clinici e strumentali vengono ripetuti tre volte: all’inizio, a metà ed alla fine. La morte viene accertata quando, per tutta la durata del periodo predetto, coesistano lo stato d’incoscienza, il cosiddetto encefalogramma piatto, l’assenza di riflessi cranio-facciali e di respirazione spontanea e coincide con l’inizio dell’esistenza simultanea di tali condizioni. In materia di prelievi di cornea, invece, si richiede l’accertamento della morte per arresto cardiaco irreversibile, in quanto essendo la cornea un tessuto non irrorato, la tardività del prelievo non ne compromette l’efficacia, ma consente di evitare le indagini complesse concernenti l’accertamento della morte celebrale in maniera diretta, necessarie quando la diagnosi sia incerta o si presenti l’eventualità di procedere all’espianto di organi diversi. L’unità della definizione legale di morte viene quindi, in un certo senso, ad incrinarsi.

La Corte Costituzionale ha sottolineato l’opportunità dell’intervento legislativo, teso a ricondurre ad unità giuridica la definizione di morte, per superare possibili dubbi circa sostanziali discriminazioni. Da qui si può dedurre che le disposizioni aventi ad oggetto gli organi umani, contenute all’interno del testamento vengano consultate in un momento in cui la morte del testatore non è del tutto accertata e quindi viene meno la funzione post mortem del testamento.

Al cospetto del vuoto normativo italiano che caratterizza la materia e della comparazione con i sistemi europei, si pone, quasi inevitabilmente, con riguardo al testamento biologico il quesito circa la forma ed il formalismo da rispettare nella sua redazione, se cioè possa ritenersi valida una manifestazione di volontà orale o non occorra piuttosto una documentazione scritta e, all’interno di tale opzione, se non sia da prediligere addirittura la forma scritta dell’atto pubblico. Il confronto con le esperienze straniere avvalora la necessità dell’atto scritto dal momento che le differenti normative discorrono, tutte, ora di written directive instructing, ora di necessità che le instrucciones previas debbano “constar siempre por escrito” (art. 11 ley n.41/2002), ora ancora di “document écrit, daté et signé par leur auteu” (art. 1111-17 code sante publ.). A ciò aggiungasi che la necessità di garantire l’identificabilità dell’atto, la certezza della sua provenienza, la ponderazione del disponente sono tutti elementi che concorrono a loro volta a giustificare l’opportunità di una redazione in forma quanto meno di scrittura privata del testamento biologico. Il voler affiancare il testamento biologico alla disciplina del negozio mortis causa consente una serie di accorgimenti, non solo ad una migliore chiarezza della volontà ma altresì ad una maggiore certezza (in caso di due documenti redatti dal medesimo soggetto) e ad una attenta valutazione della capacità del suo autore, ma anche per quanto riguarda il momento preciso in cui è posto in essere il documento, sol che si ponga mente all’obbligo di indicare nel testo l’ora della sua redazione.

L’ipotizzare un intervento del notaio nella formulazione del testamento biologico apre, tuttavia, a talune riflessioni concernenti il ruolo del professionista nonché i limiti al suo agire, in ragione di una legge, la n. 89/1923, che gli richiede espressamente di dirigere la formazione dell’atto e di non riceverlo o autenticarlo se espressamente proibito dalla legge o manifestamente contrario al buon costume o all’ordine pubblico. Il notaio non è, infatti, un “destinatario passivo delle dichiarazioni delle parti”, ma è tenuto a precisi doveri di consiglio, che prevedono anche la segnalazione dei possibili esiti della vita prescelta, nonché la proposizione d’impostazioni autonome o alternative o migliorative. Allorquando, poi, si tratti della redazione per iscritto di manifestazioni di volontà non ripetibili come appunto nel caso del testamento pubblico, il professionista, dopo aver accertato la capacità del testatore di esprimere validamente la volontà, deve verificare e scoprire in concreto quale essa sia: sebbene non possa dare suggerimenti, egli è comunque tenuto a fornire chiarimenti di carattere tecnico giuridico, ad indicare l’illiceità di una disposizione, a tradurre in formule tecniche giuridicamente appropriate le dichiarazioni rese; tutto ciò, beninteso, nel rispetto assoluto della volontà testamentaria e con esclusione di qualsiasi contegno atto ad influenzarla.

Le descritte regole riferite al testamento biologico trovano ostacolo alla loro puntuale applicazione proprio nella natura del documento di cui si richieda al notaio la redazione: non solo per la facile obiezione dell’assenza nel pubblico ufficiale di quelle conoscenze necessarie a consigliare l’autore, quanto per il rischio che, anche a dispetto delle intenzioni, il notaio, possa comunque avere un ruolo nella formazione e nella esternazione in forma tecnicamente corretta della volontà. Alla luce di quanto detto, l’idea è quella di affidare le volontà alle disposizioni non patrimoniali del testamento; quindi prendendo spunto dalla biocard – La Consulta di Bioetica di Milano, fondata nel 1989 dal neurologo Renato Boeri, ha promosso la c.d. “biocard” o “carta di autodeterminazione”. Tale documento è rivolto alla famiglia, ai medici curanti e a tutti coloro che saranno coinvolti nell’assistenza del sottoscritto e si presenta comprensivo di richieste assai diverse che hanno una diversa rilevanza: etica e giuridica. In questa carta di autodeterminazione sono compresi i senti aspetti: le volontà circa i trattamenti nella fase terminale, la nomina di due tutori, le disposizioni sulla donazione degli organi e sulla conservazione del proprio cadavere, l’assistenza religiosa; è previsto anche il rifiuto dei “provvedimenti di sostegno vitale”. Questi ultimi sono definiti “misure urgenti senza le quali il processo della malattia porta in tempi brevi alla morte”. Tali provvedimenti comprendono, secondo il modulo, il rifiuto dei seguenti aspetti: 1. la rianimazione cardiopolmonare, 2. la ventilazione assistita, 3. la dialisi, 4. la chirurgia d’urgenza, 5. le trasfusioni di sangue, 6. le terapie antibiotiche, 7. l’alimentazione artificiale. In questo senso si dispone che non siano curate: le infezioni respiratorie e urinarie, le emorragie, i disturbi cardiaci o renali, e non siano attivate l’alimentazione e l’idratazione artificiali, in presenza di: 1. malattie in fase terminale, 2.una malattia o una lesione traumatica del cervello gravemente invalidanti e giudicate irreversibili, 3. altre malattie gravemente invalidanti e non rimediabili (per esempio, l’Aids)- l’idea è di creare una brochure che possa in un qualche modo illustrare per quanto riguarda l’aspetto medico ciò che è il cosiddetto testamento biologico, il coma vegetativo, le cure palliative, quindi che possa venire in aiuto al notaio privo di tali conoscenze e al paziente/testatore. Prendendo, poi, “in prestito” la forma dell’atto del testamento ed in particolare delle disposizioni testamentarie non patrimoniali (così come avviene già per le disposizioni concernenti il trapianto di organi) e incorporando ad esso il “format” della biocard, ne viene fuori una sorta di modello unico stipulabile davanti ad un notaio (quindi con tutte le garanzie che ne conseguono come precedentemente detto) in modo tale da poter avere meno confusione dal punto di vista pratico e maggiori garanzie per il paziente/testatore.